Giuseppe Veneziano, da molti anni milanese d’adozione, espone fino al 27 luglio a Palazzo Moncada di Caltanissetta – vicino a casa, essendo originario di Mazzarino – e lo fa con una mostra che segue di un anno quella tenuta a New York dove ha portato un’idea di new pop che riconverte la lezione warholiana in un magistero inteso a cogliere gli aspetti non i più caduchi del tempo moderno ma i più dissonanti.
La mostra si intitola “Behind the beauty” e intende indicare una particolarità della variegata tematica propria dell’artista, volta sempre a cogliere nella realtà il motivo beffardo, il punto di contraddizione, il paradosso. La particolarità è spiegata dallo stesso Giuseppe Veneziano all’AGI: “Ho voluto indagare cosa c’è dietro la bellezza e come essa rappresenti ogni epoca. Infatti molte opere esposte hanno come matrice alcuni capolavori della storia dell’arte. Vengono rivisitati con il chiaro intento di catapultarle nel nostro presente e farle dialogare con la nostra contemporaneità. Un concetto di bellezza che sa reinventarsi per vivere in un continuo presente, superando la dimensione del tempo”.
Van Gogh che, ripreso nel suo “Autoritratto”, si scatta un selfie, la Gioconda che ritrae Leonardo da Vinci, le Madonne rinascimentali, magari col volto di Chiara Ferragni, che in braccio al posto del Bambino tengono Hitler o Superman e invece del libro delle preghiere leggono Sms su telefonino, l’“Annunciata” di Raffaello che dal leggio prende un cannolo siciliano: l’irriverenza è portata al punto da fare degli eroi dei fumetti, da Topolino a Batman, da Tex a Diabolik, gli interpreti di una spinta alla trasgressione culturale di simboli storici che arriva a immaginare scene scurrili come quella di Biancaneve che si fotografa tra le gambe o si guarda nuda a uno specchio sorretto da uno dei nani oppure è guardata da tutti i nani attorno alla sua vasca da bagno, Cappuccetto rosso in intimità con un lupo, Spiderman Supersex a letto con una donna discinta.
Il rovesciamento della morale corrente e con essa della più consolidata coscienza popolare, per cui non solo la bellezza di ogni tempo consegnata alla storia ma anche il costume, i miti invalenti, i capisaldi religiosi, le dinamiche politiche, diventano oggetto di una satira scandalosa e corrosiva, rivelatrice tuttavia di un aspetto della nostra contemporaneità inusitato e sorprendente, giocato sul doppio piano della dimensione nazionale e di quella dell’intera cultura occidentale. Alla fine l’invettiva epigrammistica di Veneziano è diretta principalmente al potere nelle sue implicazioni anche civili e nei valori accettati e condivisi entro il sentimento di una radicata conformità. Trattandosi di una polemica esercitata con l’uso dei mezzi di espressione artistica, appare tanto più incisiva quanto sgradita e fonte di scandalo, sempre puntuale e dirompente. “Ogni istituzione – spiega Veneziano all’AGI – rappresenta una fetta di potere e le istituzioni si reggono su leggi morali, invece l’arte può farne anche a meno. È da questo presupposto che nasce l’equivoco dello scandalo. L’arte se è sincera, riflette come un’antenna parabolica tutto ciò che le ruota attorno, rivelandone gli aspetti più oscuri. Fin dai miei esordi nella pittura ho trattato temi sociali come la politica, il sesso e la religione, e mi sono ritrovato spesso nella condizione di narrare fatti epocali in cui queste tre dimensioni si intrecciavano. Molti hanno definito queste opere provocatorie, dissacranti, irriverenti, e solo quando alcune mie intuizioni si sono avverate realmente si sono ravveduti, giudicandole profetiche”.
L’ultimo clamoroso caso è quello della influencer Chiara Ferragni, vista da Giuseppe Veneziano come una Madonna col volto botticelliano e poi nella realtà protagonista di una campagna pubblicitaria proprio con le stesse fattezze. Aldo Premoli, curatore della mostra, dice all’AGI che “Giuseppe Veneziano non è un provocatore che cerca di creare scandalo ma un artista che reagisce in tale veste ai fatti che lo colpiscono e perlopiù si tratta di una reazione emotiva che sottende un sentimento tragico”. Certamente la sua opera integra il tenore della denuncia civile, mossa con lo sberleffo, il tono ironico, il gusto per l’effetto icastico, nella prospettiva di un preciso intento: quello di fare sorriderne per poi lasciare riflettere. In una delle sezioni della mostra (che è un’antologica e comprende dunque il complesso di una lunga e vasta produzione), quella chiamata “Golden Virgin”, perché per la prima volta Veneziano utilizza il colore oro levantino come sfondo, la Madonna, sempre del tipo rinascimentale in rosso e azzurro (e il Rinascimento è l’età alla quale l’artista si rifà costantemente), è vista nella posizione dell’Odigitria con il Bambino che ora è Pinocchio, ora Mr. Burns, ora Superman benedicente, ora Elvis Presley. La stessa Madonna, nella sezione detta della “religione come dispositivo” si mostra con la mascherina insieme col Bambino, poi con le sembianze di Yoko Ono e un John Lennon morente, ancora con Joker, insieme con un Dio michelangiolesco che allunga col dito ad Adamo una mascherina e un San Sebastiano cosparso non di ferite ma di simboli del Covid-19. Quelli di Veneziano sono dei d’après di singolarissimo genere che in una mostra del 2020 egli chiamò “Versus”, nell’invariato intento di mettere a confronto l’opera classica presa a modello con la propria in rifacimento. Il suo stile, oltre che nell’ambito della new pop, è stato ricondotto alla nuova temperie dell’“Italian Newbrow” che denota una vocazione per il surrealismo, ma l’artista si smarca: “Riconoscersi in un movimento o in una etichetta significa ridurre il proprio raggio d’azione. Sicuramente, se qualche critico ha visto nel mio lavoro delle connotazioni che mi identificano in un movimento, vuol dire che il mio lavoro li contiene. Una volta però ho scritto che tutte le etichette mi vanno bene, ma nessuna mi appartiene”.
Le opere in mostra sono circa settanta, distribuite in più sale e secondo scelte tematiche. Comprendono anche sculture, acquerelli, disegni e persino Nft (i nuovi prodotti digitali acquistabili in criptovalute), un campo nel quale Giuseppe Veneziano si è recentemente introdotto per esplorare nuovi orizzonti come anche per munirsi di nuove armi di dileggio e di denuncia.