Maltrattamenti alla moglie con metodo mafioso, va a processo .
Picchiava la moglie, la maltrattava con l’aiuto delle sorelle, e nel farlo è stato accusato di aver utilizzato il metodo mafioso. È il secondo caso in Italia quello di un 54 enne di Gela, affiliato a Cosa Nostra e residente a Busto Arsizio (Varese). E’ stato chiesto il rinvio a giudizio al termine di un’indagine condotta dalla Dda di Milano e dalla Procura di Caltanissetta. L’uomo è accusato, in concorso con le due sorelle e la madre, di aver maltrattato, picchiato e segregato in casa sua moglie. La donna, una 48 enne, a subito violenza a partire dal 2003, tra Gela e Busto Arsizio. Lei ora collabora con la Giustizia e gode della protezione testimoni. E’ riuscita a chiedere aiuto dopo anni di vessazioni e minacce che il marito ha rivolto anche a colleghi e conoscenti.
Maltrattamenti alla moglie con metodo mafioso: le dichiarazioni
“Sono venuto qui senza passamontagna, a viso scoperto, non ho paura di niente anche se devo tornare in galera… ci finiamo tutti sul giornale”. E, ancora, “ho una cassa piena di armi, non ho più niente da perdere, comincio a fare una strage”. Sono queste le minacce pronunciate dal 54enne, nei confronti di due persone che si sono offerte di aiutarlo. È quanto emerso dalla richiesta del Gip depositata il 23 novembre. I reati contestati, commessi tra Busto Arsizio (Varese), Gela (Caltanisetta) e Voghera (Pavia), sono l’esito di un’indagine incrociata. Infatti hanno collaborato tra loro la Procura di Caltanisetta e la Dda di Milano. I fascicoli, poi riuniti tutti in Sicilia, raccontano di una donna che non poteva uscire di casa senza il permesso del marito. La donna era controllata a vista dalle sue sorelle e dalla madre di lui, oltre che sottoposta a pestaggi continui anche davanti a loro figlia. Arrivati a Busto Arsizio da Gela nel 2007, i due sono andati a vivere vicino a una delle due sorelle di lui. Calci, pugni, obbligo di mostrare il cellulare e fotografare ogni suo spostamento, divieto di andare al lavoro da sola, hanno continuato ad essere una costante. Quando è finito in carcere, ha preteso una lettera al giorno con il resoconto delle sue attività e di quelle della figlia. Ha poi dato ordine a sua sorella di pedinare la moglie. “Tua madre è una m…a e te sei come lei”, gridava alla loro figlia, mentre la malmenava una volta tornato libero. La donna, ad un certo punto, ha chiesto aiuto ed è riuscita a trovare rifugio in una località protetta insieme alla figlia. La prima udienza del processo è prevista a dicembre.